#art#performance#installation
Performance art video (5,22 min), audio installazione (3,25 min) e oggetti performativi misti
Sudario: garza e gesso in teca 30x30x30 cm
Reliquia: tessuto nero su pannello in legno con copertura in plexiglass 156,5 x 56,5 cm
Video: performance art video, durata 5,22 min, fotografia di Francesca Fini
Contenitori oggetti performativi: vasi cilindrici in vetro h 40 Ø10 cm con acqua, aria, olio, garze e gesso
Ogni artista, accettando di vivere nella diversità che sente dentro, sceglie una nuova vita. La rinascita di una vita vocata, segue a quella morte temporanea che è intrinseca ad ogni vero e profondo cambiamento. Il sudario deterge la viscerale fatica di questo percorso. La performance, ripresa in video diventa parte di un’installazione che racconta il momento successivo alla rinascita.La garza di lino e gesso sottende un respiro ritrovato: l’olio, la polvere e l’acqua la trasformano nel corpo pesante che viene strappato alla vita e depositato in 90 cm cubi di loculo trasparente: luogo dal quale si sceglie di andare oltre.
L’impronta umana, impressa sul tavolo nero e appesa, testimonianza dell’atto performativo avvenuto, rimane la reliquia bidimensionale di un nuovo culto di vita, di una vita vocata all’arte.
“Come chi si trovi davanti alla Cena ad Emaus di Michelangelo Merisi di Brera, l’installazione Sudario, invita l’astante a partecipare all’intimità rituale del mistero vita-morte. Si comprende che bisogna andare oltre ciò che si guarda e affiorano così immediatamente gli aspetti simbolici, i riti taumaturgici, di chi come Paola Mineo, con la sua Touch Art, da anni sonda i meandri relazionali in cui la sua scultura plasmata sul corpo del modello diviene seconda pelle e al tempo stesso corazza e calco, ovvero documento fisico, di un passaggio, la cui memoria assume forme che rammentano porzioni di sculture classiche quasi fossero frammenti archeologici di un ricordo. Qui insieme alla videoartista performativa Francesca Fini, l’arte di Paola diviene altro: non è solo il risultato finale, quello scultoreo, ridotto a “reliquia contemporanea” ma è il processo creativo che la rappresenta, che diviene esso stesso opera d’arte. Paola accarezza la vita che palpita sotto le sue mani, in un atto di accudimento che diviene al tempo stesso accudirsi. Aver scelto il corpo di Francesca Fini, ovvero di un’artista, è un altro elemento che aggiunge valore a chi come Paola Mineo, senza pudore, svela il proprio atto creativo nel suo dialogo silenzioso fatto di gestualità religiose che inevitabilmente finiscono e muoiono per poi rinascere, meglio rivivere, in forma di residuo, di documento. Le porzioni di video frammentate e poi ricucite insieme non illudono al racconto: manifestano momenti residuali di ciò che possiamo cogliere nell’arte contemporanea. ”
Marco Testa per Voci di Arte Contemporanea, MLAC, Roma
Paola Michela Mineo si definisce in un suo scritto «artista relazionale», perché, secondo lei, entrare in relazione con i suoi soggetti/oggetti artistici e con il pubblico è tra le ossessioni della sua ricerca. In effetti, le sue opere hanno a che fare con la scultura, con la performance, con la video-arte, ma non appartengono a uno specifico genere, poiché sono essenzialmente espressione di un «concetto» che prende vita tramite percorsi ogni volta nuovi, i quali hanno in se stessi la loro ragion d’essere. Certo, la sua prima vera intuizione artistica nasce con la realizzazione di «calchi», plasmando sui corpi nudi delle garze imbevute di gesso, che poi vengono staccate e sospese nell’aria, come dei «gusci», i quali recano impresse le tracce non solo delle singole membra, ma anche dei brividi spirituali suscitati nel soggetto durante la «liturgia» officiata dall’artista. Quest’ultima, infatti, tramite il proprio rituale, richiama alla superficie l’energia vitale contenuta nel corpo e la libera, eternandola in una posa strappata al contingente e offrendola così alla contemplazione degli altri.
Questo procedimento viene attuato anche in Sudario, come attesta il video che documenta le fasi di realizzazione dell’opera e ne diventa parte integrante: l’artista fa distendere la modella nuda su una tavola di legno rivestita di stoffa nera, cosparge il suo corpo di acqua e olio e poi lo riveste con la garza imbevuta di gesso, che si adatta alle forme della donna e ne conserva l’impronta quando viene rimossa e deposta in una teca di cristallo, come fosse un sudario. Nella performance, quindi, viene realizzata l’esperienza della «rinascita» dell’io, che si libera dai residui della materia per aprirsi a una vita nuova, alla stessa maniera in cui il Cristo risorto si libera del sudario che avvolgeva il suo corpo senza vita, per sconfiggere la morte ed entrare nell’eternità. Sulla stoffa nera, protetta da una copertura in plexiglass, rimane, come scrive l’artista, «la reliquia bidimensionale di un nuovo culto di vita, di una vita vocata all’arte».
Cosimo Strazzeri per Il Corpo e l’Anima, Museo degli Ipogei, Trinitapoli